Per la serie di interviste di Hands Across The Water continuiamo con la testimonianza che ci arriva da Erika Mastrorosa, studentessa universitaria italoamericana, nata a Roma, che ora vive a Londra. Laureata in Filosofia, è appassionata di scrittura e di lettura. Le stanno particolarmente a cuore la causa dell’educazione e del femminismo e per questo collabora occasionalmente con organizzazioni no-profit.
Come mai si è arrivati ad un cambio così drastico e come sarebbe stato possibile evitarlo?
È stato un gioco politico che si è avvalso delle già presenti tendenze nazionaliste che stanno facendo regredire molti paesi europei. La facilità del sentimento d’odio e di un sistema che punta a cercare un capro espiatorio si nutre di slogan beceri e di ignoranza. Non parlo semplicemente di ignoranza culturale, ma anche di pochezza d’animo. Quella stessa politica che ha portato la Gran Bretagna ed il mondo alla crisi della quale l’Unione Europea sarebbe parzialmente responsabile ha messo nelle mani dei comuni cittadini una decisione per la quale si sarebbero dovuti preparare ben più seriamente di quanto non sia effettivamente avvenuto. Il voto sentimentale su questioni che comprendono anche dei tecnicismi particolari hanno significativa probabilità di avere conseguenze negative, come infatti questo referendum ha dimostrato. Certamente se io avessi avuto la possibilità di votare non avrei avuto le conoscenze economiche per prendere questa decisione, ma metto in discussione la preparazione del cittadino medio nel momento in cui le motivazioni portate avanti dai pro-uscita sono state numeriche. Se poi si considera la distribuzione geografica e demografica del voto si spiega anche – sebbene parzialmente – quanto la non conoscenza dei fatti abbia generato decisioni incoscienti. Evitare il disastro che il Brexit sta dimostrando di essere avrebbe significato smascherare i volti di una politica alla deriva. Sufficientemente alla deriva perché i primi sostenitori del Brexit fuggissero a velocità ammirabile. Ultimo, proprio stamattina, Farage. Più facile incolpare l’immigrazione, no? Se poi non si è nemmeno mai incontrato un immigrato in vita propria è ancora meglio. Sorrido – amaramente – nel pensare come anche in un paese con politica rappresentativa quale l’Italia si applauda alla Gran Bretagna. Forse il Salvini di turno farebbe meglio a vivere qualche tempo all’estero e nel frattempo dilettarsi con un libro di storia prima di parlare di dittatura europea.
Come era Londra prima il Brexit e come è cambiata ora, secondo te?
Pur non avendo sperimentato nulla di simile sulla mia pelle, attacchi xenofobi e razzisti sono in crescita. La stupidità ha bisogno di poco per sentirsi appoggiata e di conseguenza gonfiarsi. Chiaramente il clima di negatività è alimentato dal fatto che siano gli episodi negativi a fare notizia. A fronte di questi attacchi xenofobi stanno nascendo campagne spontanee per ribadire l’apertura culturale di Londra. Dai tempi in cui la parola immigrazione non era ancora sulla bocca di tutti in Europa, Londra è stata tradizionalmente pronta ad aprirsi ad ogni tipo di diversità e di questo sono responsabili i cittadini londinesi. Io, anche se in maniera un po’ traballante, forse ho iniziato a sentirmi cittadina londinese. C’è davvero differenza tra me ed un inglese doc? Intendo con l’eccezione dell’aspetto culinario…
Tu sei una studentessa italiana all’estero. Che sensazioni stai provando e qual è il sentimento comune degli studenti Europei e britannici?
Sono profondamene intristita dalla decisione presa dalla Gran Bretagna. L’ambiente universitario è più che mai internazionale e pronto ad accogliere le tradizioni culturali più diverse, tra le quali c’è ovviamente una cultura dello studio diversa. Per uno studente la bellezza dell’Europa è stata fino ad ora la libera circolazione e la possibilità di accedere a qualunque università senza le difficoltà (o impossibilità) burocratiche altrimenti si sarebbero generate. Nelle discussioni più o meno mediatiche ho sentito concentrarsi molto sulle conseguenze per i non britannici. Mi domando se, tra quegli studenti e genitori di studenti che hanno votato per l’uscita dall’Unione Europea, ci sia qualcuno che ha rivolto il pensiero alla pari e contraria (eventuale) esclusione dei cittadini UK dai programmi europei. A questo venga aggiunto anche che al momento i cittadini europei pagano le tasse universitarie come i cittadini britannici. Se dovessi un domani essere tassata così come ora vengono tassati gli extra EU sarei costretta ad abbandonare gli studi, almeno in Gran Bretagna. Certo, dirà qualcuno, nessuno mi impedisce di fare tutto “a casa mia”, ma a ventiquattro anni mi piaceva pensare che il mondo stesse andando verso l’inclusione e non l’esclusione, e che le possibilità del multiculturalismo fossero arricchimento e non minaccia.
Quali sono le principali necessità da assolvere ora in Gran Bretagna per la vita di tutti i giorni?
Non essendo chiaro per nessuno quali saranno le effettive conseguenze del Brexit, mi viene da pensare che al momento non ci sia nessun cambiamento pratico da affrontare. Proprio alla luce di questo il caos generato potrebbe essere limitato rendendo il più chiaro possibile che nell’immediatezza non servirà alcuna modifica forzata della propria vita.
Senti l’esigenza di tornare in Europa dopo una scelta simile da parte dei britannici?
No, perché Londra rimane la città in cui più di ogni altra ho visto la celebrazione della diversità. Basti guardare il sindaco, non solo per la sua elezione in sé per sé, ma per come sta svolgendo il proprio compito dall’inizio del suo incarico. Proprio a ventiquattro ore dal Brexit ha preso parte al Pride, ribandendo quanto Londra si aperta a chiunque. Questo è il segnale principale che ho ricevuto dalla città. Fosse anche individualismo, lo è davvero indipendentemente dalla nazionalità del proprio vicino.
Mendes Biondo